giovedì 21 ottobre 2010

GEOFF FARINA AND CHRIS BROKAW LIVE IN ROME @ INIT


Ok, sbrighiamo le formalità.
Geoff Farina (ex Karate, Glorytellers e Secret Stars) e Chris Brokaw (ex Come, Codeine e Pullman) hanno recentemente inciso per la Damnably Rec (mercato europeo e britannico) e per la stessa etichetta di Brokaw (mercato statunitense) la Capitan Rec, due dischetti usciti in primavera e in autunno 2010, The Angel's Message To Me e The Boarder's Door.
Due chitarre acustiche, due voci, una manciata di brani classici della musica country-blues e qualche pezzo scritto, invece, di proprio pugno dai nostri.
Il loro modo di suonare il country, anche nelle rivisitazioni dei classici, è più riflessivo, cantautoriale, rallentato, contaminato dalla neve silenziosa e dal freddo solitario del Nord-Est, rispetto a quello tipico americano del Sud, sfavillante, galoppante e incline alle velocità circensi.
E' lo stesso Geoff ad informarci che ha trascorso l'ultimo anno nel Maine, un posto molto "cold and lonely", che lo ha portato a scrivere un paio di pezzi altrettanto "cold and lonely".
Cominciano insieme, poi Chris lascia in solo Geoff, poi viceversa, poi concludono di nuovo insieme.
Geoff ha una voce sgranata e velata, si esibisce in un finger-picking discretamente virtuoso, i suoi testi sono poetici, impegnati, ricercati. Ha un piglio costantemente altero e serioso, è compreso nella parte ma sempre un po' distaccato. Chris ha un timbro leggermente più potente e un approccio più sanguigno, nel modo di cantare e anche in quello di suonare la chitarra.
Sono semplici, onesti, appassionati di quello che fanno, e richiedono silenzio e attenzione, come tutte le cose delicate e poetiche.
Io che pensavo di rischiare l'effetto soporifero, dopo il terzo pezzo di arpeggi dolci e voci malinconiche, invece, mi ritrovo cullata e immersa in un'atmosfera sognante e scarna.
Cerco di concentrarmi sul significato dei testi anche se, ovviamente, non essendo madrelingua, mi perdo qua e là qualche parola.
Il pubblico sparuto, nonostante la presenza di tre coppie rumorose e un gruppetto di amici ubriachi e molesti, è coinvolto e caloroso e riesce a strappare ai due anche un paio di bis, nonostante Geoff non smetta di indirizzare occhiatacce di disappunto ai cafoni presenti in sala e il povero Chris sia costretto, scusandosi per giunta, a richiedere un po' di silenzio: "I'm trying to concentrate up here ...", dice.
E ora cominciamo con l'invettiva.
Quello che non smetterò mai di chiedermi è perché, perché, perché, Santo Dio perché, la gente venga ai concerti per chiacchierare, a voce alta per altro.
Non mi rifugerò nemmeno in rituali formule di cortesia quali "secondo la mia umile opinione" o "sicuramente mi sbaglierò io".
No, no. E' così e basta. E vi sbagliate VOI.
Voi. Che venite ai concerti e non sapete nemmeno voi perché.
Voi. Che fate presenza alle serate e non ne capite l'essenza.
Voi. Che dissacrate l'arte e vanificate il duro lavoro che c'è dietro ogni sforzo di comunicare emozioni, sensazioni e sfumature.
Voi. Che Dio vi dovrebbe recidere le corde vocali e amputare le lingue e insegnare come si sta al mondo.
Voi. Che ma chi ve lo fa fare di spendere 10 o 15 euro, se non di più, soltanto per disturbare la bellezza di qualcosa che non sapete apprezzare e l'attenzione di coloro i quali vanno ai concerti per fare quello che dovrebbe essere fatto: ascoltare.
Per favore, se volete fare salotto o sfoggiare il vostro ultimo look, andatevene al Gilda o al pub sotto casa  o in giro per il centro. O, perlomeno, restate fuori.
Grazie.

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