Lei è spettralmente magra, elegante e futuristica cavallerizza di frange, lustrini e sospiri.
Si divide generosamente in un orgiastico amplesso tra il pianoforte alla sua sinistra e le tastiere alla sua destra, un microfono per lato, mentre lo sgabello rettangolare le impala le cosce costantemente e spudoratamente spalancate e offerte al suo pubblico.
Accarezza incessantemente i suoi amanti di tasti e cavi, soffia sulle aste di valvole i suoi cristallini acuti e i bassi rochi e graffiati, senza mai eccedere nei due registri. In un tripudio di espressioni facciali e mossette gestuali, interpreta la sua musica nuova, dosando sapientemente sacralità e sensualità, spirito e carne, anima e stracci del mestiere.
Poche concessioni ai grandi successi del passato. Non si ferma mai, è una macchina da guerra, non beve mai nemmeno un sorso d'acqua, a malapena respira tra un pezzo e l'altro, cambia i suoni alle tastiere con la sola forza del pensiero, persino il bassista/chitarrista e il batterista/percussionista, a un certo punto, desistono e la lasciano in solo sulla scena.
Dopo il decimo brano l'effetto Michael Nyman incombe e la voce è troppo costantemente flangerata. Quando gli attrezzisti di palco effettuano uno scenografico ed estemporaneo cambio di tastiere su pedane a rotelle semoventi, si rischia anche l'effetto Emerson, Lake & Palmer: mica ora canterà sospesa col pianoforte a testa in giù?
Lei continua imperterrita, Sadako dalle ciocche di fuoco davanti agli occhi, incantatrice schizzata e scattosa, rinata nella sua seconda giovinezza.
Perfetta, impeccabile, implacabile, prolissa. Più di due ore filate di concerto, nemmeno una pausa e subito fuori per il bis. Ormai la musica ha virato verso puri ritmi dance.
Lei continua e continua. Comincia ad ascendere verso il cielo come un palloncino e se ne vola via, il corpo esile come un filo sottile appeso alla sua botulinica faccia tonda.
E continua, continua e continua.
Sparate sulla pianista, risparmiate le corde vocali, rubatele le Jimmy Choo. Le voglio io.
Applausi non pochi. Emozioni non tante.
Si divide generosamente in un orgiastico amplesso tra il pianoforte alla sua sinistra e le tastiere alla sua destra, un microfono per lato, mentre lo sgabello rettangolare le impala le cosce costantemente e spudoratamente spalancate e offerte al suo pubblico.
Accarezza incessantemente i suoi amanti di tasti e cavi, soffia sulle aste di valvole i suoi cristallini acuti e i bassi rochi e graffiati, senza mai eccedere nei due registri. In un tripudio di espressioni facciali e mossette gestuali, interpreta la sua musica nuova, dosando sapientemente sacralità e sensualità, spirito e carne, anima e stracci del mestiere.
Poche concessioni ai grandi successi del passato. Non si ferma mai, è una macchina da guerra, non beve mai nemmeno un sorso d'acqua, a malapena respira tra un pezzo e l'altro, cambia i suoni alle tastiere con la sola forza del pensiero, persino il bassista/chitarrista e il batterista/percussionista, a un certo punto, desistono e la lasciano in solo sulla scena.
Dopo il decimo brano l'effetto Michael Nyman incombe e la voce è troppo costantemente flangerata. Quando gli attrezzisti di palco effettuano uno scenografico ed estemporaneo cambio di tastiere su pedane a rotelle semoventi, si rischia anche l'effetto Emerson, Lake & Palmer: mica ora canterà sospesa col pianoforte a testa in giù?
Lei continua imperterrita, Sadako dalle ciocche di fuoco davanti agli occhi, incantatrice schizzata e scattosa, rinata nella sua seconda giovinezza.
Perfetta, impeccabile, implacabile, prolissa. Più di due ore filate di concerto, nemmeno una pausa e subito fuori per il bis. Ormai la musica ha virato verso puri ritmi dance.
Lei continua e continua. Comincia ad ascendere verso il cielo come un palloncino e se ne vola via, il corpo esile come un filo sottile appeso alla sua botulinica faccia tonda.
E continua, continua e continua.
Sparate sulla pianista, risparmiate le corde vocali, rubatele le Jimmy Choo. Le voglio io.
Applausi non pochi. Emozioni non tante.
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