lunedì 15 novembre 2010

ESPERANZA SPALDING LIVE IN ROME @ AUDITORIUM

Se undici anni fa mi avessero detto che mi sarei data all'ascolto forsennato e al recupero di tutta la musica indie, dell'elettronica rumorosa, dell'hard e del post-rock, probabilmente avrei messo su una faccia a punto interrogativo, chiedendomi, come molte persone oggi, se per indie si intendesse musica etnica indiana o se il krautrock fosse una salsa per condire i würstel.
Così come se qualcuno, non più tardi di tre mesi fa, mi avesse detto che sarei tornata ad ascoltare un concerto di musica jazz, nel senso più classico del termine, probabilmente gli avrei detto che era un pazzo. Negli ultimi tre anni di singletudine ho completamente dimenticato che stare insieme a qualcuno significa, spesso, ritrovarsi a fare cose che non avresti mai scelto di fare.
Ed eccomi qui. Al concerto di Esperanza Spalding all'Auditorium.
Potenza dell'amore. Sono dubbiosa, perplessa e prevenuta.
In più, Lamoremio, si è appena reso colpevole di avermi fatto indispettire.
Non è che non mi abbia risposto, è che non mi ha risposto come doveva. E io, che sono una stupida femmina, a queste cose ci bado.
Mmm. Promette male. E' luna crescente, ho ancora le mestruazioni e sto per assistere ad un concerto jazz- il primo degli ultimi dieci anni a questa parte! - mano nella mano con uno che, al momento, vorrei fare riccio e biondo, giusto per farlo diventare il contrario di quello che è attualmente.
O, tutt'al più, avvolgergli il collo in una corda del contrabbasso della Spalding e tirare quel tanto che basta per farlo diventare cianotico.
E' troppo tardi per battibeccare: le luci si abbassano e lo spettacolo ha inizio.
Lei entra, tronfia e trionfale. Si toglie il soprabito, il foulard e le scarpe, dopo aver acceso una lampada a stelo alto. Si accomoda su una poltroncina davanti ad un tavolino e si versa un bicchiere di rosso, mimando il siparietto di quella che è la sua solenne ed auto-referenziale dichiarazione di intenti: sono bella, brava e giovane e voi potreste esserci ma anche no. Ora mando giù due sorsi e poi vi spacco le palle per le prossime due ore.
La formazione è la seguente: Esperanza alla voce, contrabbasso e capelli. Una corista, due violinisti, una violoncellista, un pianista e un batterista.
Per l'ora e tre quarti successiva si snoda un'interminabile, perenne, (dode)cacofonica improvvisazione di scat, obbligati, quarte sospese, quinte aumentate, scale esatonali e semitoni.
L'ultimo quarto d'ora, bontà loro (con i due bis), si riesce a percepire l'accenno di una melodia e una mezza dozzina di vere parole che non siano ba-doo-ba-dwee-ba.
Immaginavo di trovarmi di fronte a questo (e già sarebbe stato sufficientemente impattante per la mia concezione attuale della musica) e, invece, mi sono ritrovata di fronte a questo.
Ottimo. L'esibizione non ha minimamente addolcito il mio cattivo umore, se non tentando di stordirmi con il letale effetto soporifero di una noia mortale.
Già mentre scendiamo le scale della galleria della Sala Petrassi, sono pronta a litigare e comincio a sparare a zero, senza neanche aspettare che mi chieda che cosa ne penso:
"Concettuale. Concettoso. Cervellotico. Cerebrale.
(Oddio, ho finito le C).
Intellettualoide.
Una rottura di Cazzo rara. (La C di cazzo ci sta sempre bene).
Sembrava Berio.
Si è masturbata sul palco, dall'inizio alla fine, soltanto per il suo piacere.
Non mi è arrivata una emozione una, durante tutto il concerto.
Poi, per carità, bravissima, bravissimi tutti, tecnicamente impeccabili ... péééròò ...".
"..."
"..."
"Mi trovo assolutamente d'accordo", dice Lamoremio, "una pesantezza unica".
Lo scruto per vedere se dice il vero.
Dice il vero.
Ecco, in questi momenti mi ricordo perché lo amo.
E perché, come dice il mio amico Pall, finché c'è vita c'è Esperanza.


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