lunedì 31 ottobre 2011

TARWATER LIVE IN ROME @ CIRCOLO DEGLI ARTISTI

E' una serata tranquilla e il clima è mite, nel giardino del Circolo. Fine Ottobre sembra inizio Settembre e Roma non sembra quasi Roma: infatti gioca la Roma, nel senso del calcio. Avrei dovuto capirlo, dalla quasi totale assenza di esseri umani in giro per la città e dalla facilità con cui ho parcheggiato. Io che, memore degli orari impazziti e flessibili per l'inizio dei concerti, mi sono precipitata lì per le 21:30, scopro che i Tarwater cominceranno a suonare non prima delle 22:30. E non c'è nemmeno il gruppo spalla. Potenza di ventidue semianalfabeti che prendono a calci una palla. Vabbè, per fortuna che mi porto sempre da leggere (appunto per me: ricordati di telefonare, nel pomeriggio, per sapere l'ora PRECISA in cui inizieranno i concerti). Un'oretta passa presto e i signori Lippok e Jestram cominciano a suonare abbastanza puntuali. Inside the ships, edito per la tedesca Bureau-b, è la loro undicesima fatica discografica, a partire da quel piccolo capolavoro d'esordio che è stato 11/6 12/10, stampato dalla Kitty-Yo nel 1996. In mezzo ci sono state: colonne sonore per film e cortometraggi; musiche per opere teatrali, spettacoli di danza, installazioni d'arte e sfilate dell'alta moda (persino un'ardita rivisitazione della Tosca di Puccini); remix per i Goldfrapp, collaborazioni con i Tuxedomoon e con B. Fleischmann, oltreché, ovviamente, le release per le prestigiose Mute e Morr Music e l'inevitabile interazione con i To Rococo Rot, progetto parallelo di Ronald Lippok stesso. Quello che cerco di capire, immediatamente, coinvolgendo i miei amichetti musicisti presenti tra il pubblico, è che tipo di strumentazione usino i Tarwater per suonare dal vivo. Le uniche cose certe sono che Ronald Lippok canta (o meglio, recita in tono monocorde dei canto-parlati ipnotici e un po' gutturali) e che Bernd Jestram suona il basso. Per il resto, brancoliamo tutti nel buio. Ronald, oltre al microfono, potrebbe avere: a) una tastiera, un sequencer e un mixerino; b) una tastiera-sequencer e un mixerino; c) al posto del mixerino, l'attrezzo che si usa per gestire esternamente anche Ableton Live (cosa che escluderei visto che non aveva un computer); d) una connessione telepatica con la Divinità Germanica dell'Indie-tronica che gli manda in aero-diffusione estemporanea i campioni pre-registrati, i loop e gli effetti per la voce. Bernd, oltre al basso, potrebbe avere: a) una drum machine; b) un Kaoss Pad; c) una connessione telepatica con la Divinità Germanica dell'Indie-tronica che gli manda in aero-diffusione estemporanea i campioni pre-registrati, le ritmiche  e gli effetti per il basso. A ogni modo, qualsiasi cosa usino la usano molto bene, con la maturità e la naturale sicurezza dei signori navigati che sono ormai diventati, e la passione dei musicisti coerenti e fedeli a loro stessi che continuano ad essere. Suonano di filato dodici pezzi, i primi sei presi da Inside the ships, compresi le cover Sato Sato, rivisitazione di un brano dei D.A.F., e Do the Oz, B-side di un singolo realizzato da John Lennon e Yoko Ono nel 1971 per sostenere la causa della rivista alternativa Oz, in quegli anni sotto processo per "oscenità". Poi fanno delle incursioni negli altri album con la bellissima Ford, riesumata da Silur, Babylonian Tower, macchiata di venature blues e tratta da The needle was travelling, la folkeggiante All of the ants left Paris presa da Animals, suns & atoms, la dronica Recitative, bonus track dal penultimo album Spider smile, l'ubriaca Tesla da Dwellers on the treshold, per poi tornare a Inside the ships con la crepuscolare Palace at 5 a.m. Verso la fine di questa canzone Mister Lippok si assenta dal palco per qualche secondo, dopo aver sussurrato qualcosa nell'orecchio al suo compare - che sorride, malizioso, e continua a suonare da solo - per poi riemergere dal back-stage con una piccola bottiglia di whisky (o whiskey che dir si voglia) che offrirà anche al pubblico della prima fila. Poi, si assentano entrambi per qualche secondo e tornano per un unico, ultimo bis. L'impressione generale è che i Tarwater continuano a piacere e ad appassionare, anche se hanno perso, inevitabilmente, un po' del guizzo e dell'energia che li contraddistingueva, soprattutto nei primi due dischi, e anche se, dal vivo, rischiano di risultare un pochino freddi, alla lunga. Per esempio, se avessero aggiunto come elemento live Detlef Pegelow, che ha suonato su Inside the ships tuba, sassofono, tromba e trombone, il concerto sarebbe risultato sicuramente più interessante ed emozionante.

A fine concerto ho chiesto al tecnico di palco se potessi avere il foglio con la set-list della serata, appoggiato sul tavolino della strumentazione di Bernd ma la risposta è stata negativa perché la scaletta, minuziosamente scritta a pennarello nero e con gli accordi a margine dei titoli, viene evidentemente usata tutte le sere. Allora ho tentato di fotografarla, proprio nel momento in cui la memory card della mia macchinetta fotografica ha deciso di entrare in tilt, facendomi perdere anche tutte le altre foto del concerto. Un'altra tecnica di palco si è impietosita, ha preso il foglio ed è tornata dopo qualche secondo dicendomi di aspettare perché Bernd lo stava ricopiando.
Avete capito bene?
Il Signor Jestram in persona, a fine concerto, si mette a ricopiare, a mano, per una nerd rompicoglioni la scaletta delle canzoni, avendo persino l'accortezza di scrivere per intero i titoli che sulla sua, invece, erano abbreviati.
Queste lezioni di umiltà e umanità mi sorprendono sempre.
Grazie, Bernd.


giovedì 13 ottobre 2011

YOU DON'T KNOW WHO YOU'RE MESSING WITH



Non c'è mai un buon motivo per tirarsela, anche quando sei veramente "qualcuno".
Figuriamoci quando sei "nessuno".



martedì 4 ottobre 2011

SONDRE LERCHE LIVE IN ROME @ CIRCOLO DEGLI ARTISTI

Sono arrivata alle 21:45, cioè un quarto d'ora prima dell'orario dichiarato per l'inizio dei concerti, scoprendo, con disappunto, che il gruppo spalla, gli Young Dreams, avevano già cominciato da più di 20 minuti.
Il risultato, quindi, è stato quello di poter assistere soltanto a un paio di pezzi scarsi di questi giovani e promettenti norvegesi che sembrano essere una versione più fresca e originale dello stesso Sondre Lerche, con la differenza di presentarsi nella formazione di super-gruppo (sono in sette sul palco) a più voci, con elementi poli-strumentisti, come se fossero dei novelli Beach Boys remixati da Washed Out: davvero un peccato averli mancati.
Dopo il consueto cambio-palco, siamo pronti per l'headliner della serata.
Sondre Lerche (che d'ora in poi chiameremo SèndrO, con lievissima pronuncia inglese) si trova a celebrare, ormai, il decimo anno di carriera, portando in tour l'ultima fatica discografica dal titolo omonimo, edita per la Mona Records.
Tra il lontano e fulminante esordio del 2001, con Faces Down, e l'ultimo disco, ci sono stati ben altri quattro album e la collaborazione a un paio di colonne sonore nonché, sempre nel 2011, la partecipazione a una raccolta di cover delle canzoni più famose dei Muppets.
SèndrO è bravo, carino e simpatico, e ama Roma, anche se si lamenta del troppo caldo.
Dice che tutti esaltano Parigi ma, secondo lui, tra Parigi e Roma non c'è storia: molto meglio Roma.
Mi trovo d'accordo, anche se non posso fare a meno di domandarmi, a causa del cinismo che mi contraddistingue ultimamente, se non dica la stessa cosa, al contrario, quando è in tour in Francia.
Vengo, credo, smentita, quando racconta la storia di Coliseum Town, una delle canzoni dell'ultimo album: dice che l'ha scritta proprio qui, in onore della nostra città, quattro anni fa, nel giardino del Circolo degli Artisti, in seguito alla sua prima seria sbronza, e non mi risulta, peraltro, che abbia scritto canzoni ispirate da Parigi.
Poi, lui e il suo trio, un classico basso, tastiere e batteria, ci omaggiano anche con una canzone eseguita in pubblico per la prima volta: I cannot let you go.
Per il resto, non mancano altre canzoni dall'ultimo disco né tutti i pezzi più famosi, collezionati nel corso degli anni, come Sleep on the needles.
L'impressione generale è che, nel tempo, SèndrO rimanga fedele e coerente a se stesso.
E' quello che è sempre stato: il bambino prodigio cresciuto a pane e Prefab Sprout, il ragazzo d'oro della Norvegia con la voce da crooner e un poco di pop-rock anni '60 nelle corde della chitarra, il fratellino più piccolo di Ed Harcourt e Badly Drawn Boy, il cugino nord-europeo di quell'altro raffinato autore pop che è Jon Brion.
E di pop, infatti, si parla. Ben fatto, sofisticato, stucchevole pop, con melodie afferrabili anche se mai (troppo) scontate, molto ben eseguito da un ragazzo grintoso che potrebbe, tranquillamente, reggere la scena anche da solo.
E' bravo, bravissimo, perfetto: mai una stonatura, mai una sbavatura, mai un'incertezza.
E' un elfo impeccabile e non troppo alto che, dalla perfezione della sua (media) altezza, a malapena suda.
O suda profumato.
Una noia mortale.

Tra lo zoccolo duro e agguerrito dei fans, in mezzo al numeroso pubblico, ringrazio nell'ordine: la ragazza norvegese alta due metri e grossa come Liv Tyler incinta, che mi ha chiesto permesso e mi si è piazzata davanti, dopo essermi praticamente montata sopra (se le foto sono quello che sono, prendetevela con lei); la ragazza norvegese dietro di me che mi ha trapassato i reni con la borsa e conficcato i gomiti nel cranio, battendo SEMPRE lo stesso ritmo, anche quando non c'entrava una sega: l'hand-clapping di Rehab di Amy Winehouse (R.I.P.); la ragazza norvegese alla mia sinistra che mi ha urlato nell'orecchio TUTTI i testi di ogni sacrosanta canzone, oltre a incomprensibili parole del suo idioma astruso, con la voce acuta della più stridula delle Critine D'Avena.
Il ragazzo davanti a me, la cui maglietta viola dei Pavement si intonava perfettamente al nuovo colore dei miei capelli, che ha scatenato in me l'esigenza di ricordarmi la melodia di Cut your hair (provateci voi a ricordarvi una canzone dei Pavement con SèndrO che canta sotto) e che mi ha obbligato, per tutto il tempo, a pormi la seguente domanda: che cazzo ci fa uno con la maglietta dei Pavement al concerto di Sondre Lerche?


lunedì 3 ottobre 2011

PERFECT SKIN


Per sorridere sempre e avere una pelle perfetta, basta non avere una coscienza.