lunedì 27 settembre 2010

CANADIANS LIVE IN ROME @ CIRCOLO DEGLI ARTISTI





La locomotiva arriva dal Nord, dritta, filata, compatta e scoppiettante. Da Verona per l'esattezza. Dopo l'ottimo esordio di A sky with no stars nel 2007, il conseguente tour e un silenzio misurato e proprio di coloro i quali la musica la fanno davvero (perché la aspettano e la sentono), esce The fall of 1960, a distanza di quasi tre anni, nello scorso aprile, sempre per la Ghost Rec, e il relativo tour. 
Canadians dal vivo sono efficienti, navigati, robusti, serrati e risoluti; un muro di suono ben amalgamato, solido ed energico, uno strano miscuglio dal sapore californiano venato dalle nebbie del Nord Italia. Tant'è che, mentre arriviamo, in ritardo come al solito, sul finire del secondo pezzo (l'inedito Lethargy), ed esserci perse A great day, la mia amica mi fa: "Ma che davero, so' Italiani?". 

Eh sì. Per una delle poche volte, buoniddio sì, sono italiani. E non scimmiottano: rielaborano. Non scopiazzano imbastardendo, piuttosto interpretano personalizzando. 
A tal punto che quasi mi verrebbe in mente di suggerir loro una follia: almeno una volta fare un testo in italiano. Secondo me, sarebbero in grado, senza scadere nel ridicolo. 
A ogni modo, il concerto procede ininterrotto e scorrevole: si alternano brani (Leave no trace) dall'ultimo e (Ode to the season) dal primo album, dal sapore più Weezer-iano, poi arrivano Carved in the bark, The night before the wedding e Yes man che virano più Death Cab for Cutie e Grandaddy, si torna alla poesia energica e nostalgica del post-college americano di 15th of August Last revenge of the nerds del primo album, poi, di nuovo, ad una quadripletta di canzoni dell'ultimo lavoro: Rain turns into hail e Kim the dishwasher, con cantati degni dei Beach Boys, e la malinconia appena accennata di The fall of 1960 The richest dumbass in the world. Poi, ancora una tripletta di brani dal primo album, tra cui la notevole Out of orderSummer teenage girl e, per concludere, Good news.
Insomma, una scaletta davvero lunga e quasi senza respiro tra un pezzo e l'altro, in cui è possibile ammirare la bravura dei tre front-men: Duccio Simbeni alla voce e chitarre (e testi, sempre molto garbati e ironici), il polistrumentista- (tastiere, mandolino, glockenspiel) cantante Vittorio Pozzato e il bassista-cantante-intrattenitore-promotore Massimo Fiorio, sempre saldamente supportati dalla granitica presenza di Michele Nicoli all'altra chitarra e il degnissimo di nota Christian Corso alla batteria.
Le uniche cose di cui si sente una lieve mancanza, a volte, sono, tra tanta compattezza, creatività e perizia tecnica, un po' più di trasporto e coinvolgimento emotivo.



mercoledì 22 settembre 2010

MICE PARADE - WHAT IT MEANS TO BE LEFT-HANDED



Torna Mice Parade - La Parata dei Topi, anagrammati, come sempre, da Adam Pierce e da lui sapientemente coordinati e agghindati per la settima "sfilata" allestita in cooperazione con la britannica FatCat Rec: What it means to be left-handed.
Il nuovo album del percussionista newyorkese esce a tre anni dal sesto lavoro e trabocca di stili apparentemente inconciliabili, etnie a confronto, influenze convergenti e collaborazioni rilevanti. 
Si passa dai ritmi e suoni di derivazione afro-mbaqanghese e swahili, alle eteree vocine e atmosfere rarefatte dell'Islanda, alle schitarrate energiche del classico indie-rock anni '90 con punte di shoe-gaze, ad alcuni accenni di indie-tronica e una strizzatina d'occhio all'indie-folk-pop appena macchiato di tristezze e sapori brazileiri.
Inizialmente, l'album può risultare irritante se, come me, già alla terza battuta di sonorità africane, venite còlti da una pruriginosa orticaria e sembrare, come a detta di alcuni critici, più una raccolta di bei singoli che non un'opera uniformata e coesa.
Invece, via via che si avvicendano gli ascolti, ciò che ne emerge è una brillante maestria nel saper fondere stili tanto diversi e una briosa originalità condita di sensibilità e buon gusto.
What it means to be left-handed affida la ritmica all'eterno collaboratore Doug Scharin (già Codeine, Rex, June Of 44 e HiM), sostituisce la voce elfo-islandese di Kristin dei Múm con quelle di Caroline Lufkin e Meredith Godreau, si avvale del suonatore di kora senegalese Abdou M’Boup e della cantante swahili Somi - per ciò che riguarda le sonorità africane - si arricchisce delle suggestioni jazzy-J-pop dei giapponesi Clammbon e vede lo stesso Pierce impegnato, oltreché alle percussioni, in cantati di alcuna Beck-iana e Sam Prekop-iana memoria.
In più, conta due azzecatissime cover: Mallo cup dei Lemonheads, in omaggio al punk-alternative-rock, e Mary Anne di Tom Brosseau, come a voler concludere tanta costante e variegata bellezza, in un conciliante ossequio al folk cantautoriale.






domenica 19 settembre 2010

PAIN IS A HUNTER


Dice Suorangela: il dolore che ti lasci dietro t'insegue e ti morde le caviglie.



sabato 18 settembre 2010

A PERFECT SALAD


I consigli di Suorangela per l'insalata.
L'insalata deve essere:
-generosa di olio
-giusta di sale
-avara di aceto
e deve essere girata 100 volte.
Buona giornata a tutti!